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I SOGNI SONO MEDUSE

Le meduse sono creature marine affascinanti e misteriose. Molte persone rimangono sorprese dalla loro grazia e bellezza, nonostante la loro reputazione pericolosa. La trasparenza dei loro corpi e l’iridescenza dei colori sono veramente sbalorditivi, specialmente quando si trovano in un banco che volteggia nell’acqua. Se ti trovi a nuotare in mare e ti imbatti in un banco di meduse, prenditi un momento per apprezzare la loro bellezza e ammirare le loro eleganti evoluzioni.

 Il connubio tra sogni e meduse è un’interessante riflessione sulla fragilità e la bellezza dell’immaginazione umana. Mentre i sogni sollevano il nostro spirito verso mondi fantastici e possibilità infinite, le meduse evocano un senso di meraviglia mista a cautela, data la loro natura imprevedibile e potenzialmente pericolosa. Forse sognare è come fluttuare tra le onde di un mare popolato da meduse, un equilibrio delicato tra incanto e rischio.

Ma prendiamo una medua , la mettiamo inun secchiello e poi la depositiamo delicatamente sulla spiagga. Basteranno poci minuti perche il sole trasfomi qell’ essere prima affascinante e anche un pò inquetante in una disgustosa poltiglia gelatinosa che piano piano si dissolve.

E cosa c’entrano i sogni? Bene, avete mai provato la mattina a raccotare un sogno? Magari vi siete svegliati nella notte rimanendo affascinati o a volte spaventati da quello che riuscite a ricordare. Sicuramente vi ha talmente coinvolto che vi ripromettete di ricordarlo e raccontarlo appena svegli.

Ebbene i sogni come le meduse portate sulla spiagga, non si possono spostare dal loro contesto perchè raccontati perdono tutta la loro forza e facino. Ciò che vi ha sconvolto, o entusiasmato di notte, qell’avventura incredibile, quei pesonaggi con cui avete intereagito nel racconto si squagliano come meduse al sole e ve ne accorgererete guarando l’espressione di noia e sopportazione sulla faccia del vostro malcapitato ascoltatore.

sogni

SANREMO I NUOVI BARBARI

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Una volta c’erano gli inglesi, avevano scoperto che a San Remo ( come si diceva allora  e non Sanremo) il clima invernale era molto piacevole e senza andare fino nel meridione o in luoghi esotici, potevano godersi giornate soleggiate passeggiando nei viali lungo il mare. In quell’epoca sempre per attirare più turisti venivano realizzati i campi da tennis, il campo golf, il casinò , la funivia Sanremo Bignone. Dal canto loro i (turisti) costruirono numerose ville tutte con giardino arricchito da piante esotiche e rare che dava lustro all’abitazione e vanto ai loro proprietari.

E i Sanremesi? Allora erano ancora Sanremaschi, gente con radici piantate saldamente  sul territorio, proprietari della gran parte dei terreni che non erano appannaggio della chiesa, coltivati a limoni, grande risorsa fino a metà ottocento con esportazioni anche in Inghilterra e pochi ulivi perché  più faticosi da far produrre. Fedeli al motto “guadagnare faticando il meno possibile”, non ci pensarono due volte  a vendere tutto per  4 soldi cercando di  vivere di rendita senza lavorare. E forse da una parte fu un bene perché a seguito degli inglesi arrivarono industriali e imprenditori che annusata la possibilità di buoni affari si precipitarono a Sanremo dove realizzarono i grandi alberghi e le infrastrutture rasformando una cittadina di provincia in posto alla moda alla pari di Nizza e Montecarlo.

E oggi, cioè ieri, si sono riversate gente da tutta Italia, imprenditori, avventurieri, disgraziati attirati come le mosche dal “miele” disposti a tutto pur di fare grana. E così nacquero i casermoni , le strade a zig zag, le periferie. E i sanremaschi? vendevano e vendevano,  dopo i terreni sulla costa quelli più arretrati , indifferenti al cemento che avanzava e ai turisti che diminuivano, sostituiti da pendolari da seconde case piemontesi e lombardi che si portavano  dietro anche la carta igienica.

Discorso a parte va fatto per i floricoltori. Anche in questo caso a smuovere l’apatia degli indigeni fu un grande uomo e sua moglie, i botanici  Calvino che dettero un formidabile impulso alla floricoltura applicata per la prima volta in modo moderno, con serre riscaldate e bancali sopraelevati.  E arrivò il secondo boom di Sanremo. Tutta Europa conosceva questa città che divenne “La città dei Fiori” e i fiori di Sanremo, in particolare garofani le cui variatà brevettate nascevano proprio quì  partivano giornalmente con treni e corrieri verso le capitali del continente e fino all’Inghilterra. Il benessere raggiunto e i soldi che circolano fecero  da volano ad attività ricreative prima inesistenti e in pochi anni aprirono fino a 20 locali notturni e alterettanti ristoranti. Sanremo diventa così anche la cità di divertimento dei giovani attirando in estate orde di ragazzi e ragazze dal nord Europa in cerca di sole, mare e vita notturna..

Ma i Sanremaschi mica sono cambiati, in perfetto stile messicano “meglio riposare che faticare” , terreni e serre si affitano a calabresi e pugliesi che alla fine le comprano diventando loro i proprietari, locali e negozi conviene affittarli piuttosto del fastidio di gestirli in proprio e pagare dipendenti e tasse. E i potitici, nel disinteresse generale  chiudono e smantellano la funivia che in 3/4 d’ora dalla città saliva a Monte Bignone 1300 mt. ,  chiudono il tiro a volo,  nasce Porto Sole privato  che elimina le spiagge più frequentate dai giovani, per motivi di ordine pubblicho vengono chiusi quasi al totalità dei locali notturni, il casinò che doveva essere il maggior polo di attrazione  senza investimenti langue e tutta la città si trasforma in un ospizio per persone anziane.

Questa è Sanremo oggi, una città con mentalità provinciale, di bottegai ( perchè vengono a comprare i francesi) e pochi giovani che si sballano al sabato in Pizza Bresca, l’unico ritrovo rimasto, conosciuta solo per il Festival della Canzone, carrozzone televisivo che di sanremese da anni non ha più niente.

Ratatouille Nizzarda

(una zuppa per topi)

Ecco la migliore ricetta della ratatouille! In effetti, questa è la ricetta tradizionale della specialità della Provenza e dell’ex Comté de Nice.

Le verdure si disintegrano, si mescolano… Questa è ratatouille.

 In origine, la parola “ratatouille” significa uno stufato eterogeneo. Ratatouille, deriva dall’occitano ratatolha con, etimologicamente, un legame con il verbo touiller: mescolare mescolare. 

Questo piatto in cui le verdure vengono cotte a fuoco lento per diverse ore in olio d’oliva. Un tempo di cottura che permette di rivelare tutti i loro sapori alla degustazione, calda o fredda, dopo aver aggiunto aglio, cipolle, erbe aromatiche e persino spezie.

 Veniva consumato dai militari e anche nelle carceri, perché era facile e veloce da cucinare. Nel 1846, la ratatouille fu definita nel dizionario provenzale francese come “una zuppa per topi” e “un cattivo stufato“.

 

Preparazione

 

Melanzana

 La melanzana è stata introdotta nel sud della Francia solo molto più tardi, a partire dal XVII secolo,

Nella ratatouille ci sono anche pomodori, zucchine e peperoni…
Questi ortaggi da frutto sono tutti e tre di origine americana. Questo spiega perché la ratatouille non poteva esistere prima della scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo nel 1492. 


Il pomodoro: origine sudamericana del pomodoro

 Dall’Italia raggiunse la Provenza e gradualmente conquistò la Francia, che all’ inizio la utilizzò solo a scopo ornamentale, temendone la tossicità.

È solo nel corso del XVIII secolo che il pomodoro sarà davvero consumato come alimento). Parliamo delle zucchine…

La zucchina è un tipo di zucca raccolta prima della maturità. Sono gli italiani che per primi sono riusciti a selezionare i tipi di zucchine che mangiamo. I francesi, invece, li mangiano da pochissimo tempo. 

Per quanto riguarda il peperone dolce, deriva dai peperoncini. Ma i peperoni che gli uomini hanno selezionato per far sparire il loro sapore bruciante. 

E l’olio d’oliva

 

 

ingredienti

– 3 pomodori – 2 zucchine -1 melanzana -1 peperone dolce (preferisco il rosso) -1 cipolla -2 spicchi d’aglio -erbe secche tipo erbe di Provenza: è un mix con rosmarino,timo.. -olio d’oliva

Attrezzatura

-3 padelle larghe e 1 casseruola -1 pelapatate -1 coltello- un tagliere

Come fare la migliore ratatouille francese

-Nella padella più larga, aggiungi 1/4 di tazza di olio d’oliva e colpiscilo a fuoco medio

-Tritare le cipolle e aggiungerle in questa padella per farle soffriggere.

-Quindi affettare il peperone a listarelle:

Bisogna prima rimuovere la parte superiore con un coltello, in modo da togliere tutti i semi dal peperone. E aggiungilo alle cipolle per friggerle.

-Adesso aggiungete l’aglio schiacciato che avrete tagliato a pezzetti.

-Nella casseruola, far bollire l’acqua. Prendete i vostri pomodorini e sul fondo praticate un’incisione a forma di croce.

Quando l’acqua bolle, aggiungere i pomodori per 5 minuti e metterli nel lavello aggiungendo acqua fredda. Ora sarai in grado di sbucciare tutti i tuoi pomodori con le dita. Tagliatela a pezzi, togliendo il petto e mettetela nell’olio con le cipolle ei peperoni per farli soffriggere. Quando aggiungi i pomodori, tieni da parte il succo.

La tua preparazione è umida e potresti continuare a cuocerla a fuoco medio

-Condire con sale e pepe, quindi aggiungere le erbe come timo e alloro, circa 2 cucchiai.

Ora cuocilo a fuoco medio-meno, per mantenerlo umido, potresti aggiungere spesso un po ‘d’acqua, oppure potresti coprire con un coperchio la tua preparazione. La maggior parte delle volte faccio entrambe le cose.

-Nella seconda padella larga, aggiungi ¼ di tazza di olio d’oliva e accendi il fornello a fuoco medio, friggi le melanzane

Sbucciare e tagliare le melanzane. Quando si staccano le melanzane bisogna fare delle strisce: bisogna far sbucciare le melanzane.


Opzione: Sgocciolate i cubetti di melanzane con sale grosso per 1 ora, poi sciacquateli e asciugateli con carta assorbente.
Se non avete fatto sudare le melanzane, non vi resta che tagliarle a fettine sottili e iniziare a friggerle in un’altra padella antiaderente.

La frittura delle melanzane assorbirà molto velocemente tutto l’olio d’oliva. Fateli friggere finché non iniziano ad assumere un colore marrone chiaro.

-Sbucciare e affettare le zucchine.

Farete, come per le melanzane, delle striscioline quando le pelate.

Se hai una padella in più, friggi le zucchine

Sarà meglio cuocerle separatamente dalle melanzane (aggiungendo 1/4 di bicchiere di olio d’oliva) per le zucchine altrimenti, quando le melanzane saranno pronte toglietele e lasciatele da parte in un piatto a parte. Quindi potresti usare la padella per friggere le zucchine.

Quando le zucchine iniziano a diventare dorate, puoi unirle alle melanzane e lasciarle cuocere insieme per altri 5-10 minuti.

-Quindi, è necessario trasferire tutte le melanzane e le zucchine nella padella di cipolle, peperoni e pomodori fritti.

-Aggiungere un bicchierino d’acqua (½ tazza) e lasciare sobbollire per almeno 3 ore minimo. Più lo cucinerai, meglio sarà. Potresti anche cuocerlo per diversi giorni a fuoco basso.

Per quanto riguarda l’acqua: di solito aggiungo l’acqua a poco a poco mentre la mia ratatouille cuoce a fuoco basso per mantenerla umida.

Potete spingere più a lungo la cottura per caramellare, condire ancora di più tutte le vostre verdure, in questo caso se il composto si asciuga troppo non dimenticate di aggiungere un po’ di liquido che può essere un bicchiere d’acqua, un avanzo di vino bianco o anche a volte aggiungo una lattina di pomodori pelati o anche una lattina di pomodori. Mi piace molto il sapore dei pomodori, per questo a volte ne aggiungo un po’.

La cottura deve essere fatta con una piccola quantità di brodo, vale a dire che hai delle bolle molto piccole che compaiono nel tuo assemblaggio. Attenzione, le grandi bolle inviano proiezioni, non è molto buono.

Idee di degustazione:

Adoro mangiare la ratatouille con le uova fritte come contorno.
Ho già aggiunto poco prima di servire un po’ di formaggio di capra per scioglierlo sopra la ratatouille e per servirlo su crostini, l’impressione è super chic. Ovviamente il toast deve essere pane francese e la baguette è la migliore.
Con il formaggio groviera grattugiato leggermente sciolto all’ultimo minuto sopra la ratatouille, funziona anche questo, ma è molto meno provenzale.

Ora cuciniamo insieme questa ricetta per ulteriori suggerimenti sulle esperienze online di Airbnb. da deliciousbyemma@gmail.com

INCONTRI

– Toh chi si vede, Mario quanti anni sono passati , ma non sei cambiato affatto!

– Ci conosciamo?

– Parini quinta liceo nel terzo banco con quel ciccione di Gandolfo …

– Mai stato al Parini

– Dai, quella gita in pullman a Roma, sbavavi per la biondina che poi si è seduta vicino a me e è andata come è andata

– Mai andato a Roma

– Scusa forse mi sto confondendo, buona giornata.

– Buona giornata anche a te Roberto.

RISTORANTE “U TITTI” Lingueglietta Imperia

TripAdvisor dovrebbe aggiungere anche la categoria Clienti: Ottimi, buoni, nella media, mediocri e pessimi. E noi quattro finiremmo sicuramente nella categoria pessimi.

Il primo errore è stato la scelta del ristorante, e le notizie sulla provenienza regionale dei proprietari ci doveva mettere sull’avviso, il secondo è stata la curiosità di provare un ristorante vincitore di un noto programma televisivo dove in quattro si contendevano la vittoria. Il terzo poi la nostra presunta disponibilità a provare sensazioni gustative nuove. E a questo punto siamo sprofondati nell’infima categoria “pessimi clienti”. L’attenuante di essere liguri dalla radice dei capelli alle unghie dei piedi e in aggiunta sanremaschi non giustifica l’accoglienza decisamente sconcertata della prima portata dell’antipasto: una tartina 4×4 con sopra una pallina caramellata? delle dimensioni di una da ping pong presentata come “sardenaira” cibo sacro e iconico come la pizza per i napoletani, probabilmente derivata dal menù di Samantha Cristoforetti. La situazione non migliorava nei piatti successivi, il cervello anche lui pessimamente abituato ad abbinare vista e gusto era andato in palla. Gli occhi vedevano un piatto con una composizione guarnitissima spettacolare di carne o pesce, poi ti arrivava un gusto che ha dato da pensare a noi pessimi clienti : qui al cuoco deve essere caduto qualcosa in pentola che non c’entra. Sia chiaro non è un critica al ristorante che fa benissimo a sperimentare e proporre abbinamenti nuovi con apprezzamenti entusiastici, della stragrande maggioranza dei commensali ma una nostra carenza trovando consolazione in un dolce eccezionale e abbondante libagione di ottimo pigato, il resto “sono lacrime nella pioggia”

WOODY ALLEN

“Addomesticare gli elettrodomestici”
Tit. orig.: “Mechanical Objects”
Monologo (“In Downtown Los Angeles”) incluso in The Third Woody Allen
Album e registrato dal vivo all’Eugene’s di San Francisco nell’agosto del
1968. Entrambe le raccolte ne contengono una versione riveduta e corretta.

Questa non so se l’avete già sentita. Molto tempo fa – è una strana storia
– mi trovavo a Los Angeles. Fui invitato a una festa a casa d’un grosso
produttore. A quell’epoca c’era in progetto di trarre una commedia
musicale dal Sistema Metrico Decimale; e cosi volevano che ci lavorassi
io. Mi recai dunque nell’ufficio di quel produttore, al centro di Los Angeles.
Entro in ascensore. Non c’è nessuno. Non ci sono pulsanti né niente. E
si ode una voce che dice: “Dica a che piano deve andare, prego”.
Mi guardo intorno. Non c’è nessuno. Sono preso dal panico. Poi vedo un
cartello che dice che si tratta di un ascensore di nuovo tipo, che
funziona col sonoro. Basta pronunciare il numero del piano cui voglio
salire, e lui mi ci porta. Allora dico: “Al terzo, per favore”.
Le porte si chiudono, l’ascensore parte. A questo punto incomincio a
sentire un certo impaccio perché io parlo, credo, con un leggero accento
newyorkese, mentre l’ascensore non ha nessuna sfumatura dialettale.
Al terzo piano, scendo. Mi avvio per il corridoio e mi guardo indietro.
Mi era parso di sentire l’ascensore fare un commento. Allora mi volto
rapidamente ma le porte si richiudono subito e l’ascensore ridiscende.
Lasciamo perdere… non mi andava di aver a che dire con un ascensore di
Los Angeles, a quel tempo… Ma non è questa la parte strana della storia,
questa è la parte più o meno normale.
Non ho mai avuto, in vita mia, un buon rapporto con gli oggetti
meccanici, di alcuna sorta. Tutto ciò con cui non posso ragionare, che non
posso vezzeggiare e coccolare, mi mette in crisi. Ho un orologio le cui
lancette si muovono, chissà perché, in senso antiorario. Ho una lampada
solare, a raggi ultravioletti, che quando mi stendo per prendere la
tintarella, si annuvola e mi piove addosso. Ho un tostapane ch’è un
bruciapane. Odio la doccia che ho in casa, perché basta che un, solo
cittadino degli Stati Uniti apra l’acqua di casa sua per farmi schizzare
fuori tant’è bollente. Ho un registratore a nastro, che m’è costato
centocinquanta dollari, e, quando gli detto qualcosa, mi fa: “Lo so, lo so”.
Circa tre anni fa, ne ebbi abbastanza. Una sera convocai tutti i miei
apparecchi in salotto, dal primo all’ultimo: tostapane, orologio,
frullatore e compagnia bella. E così tenni loro un discorsetto. Fui
adorabile. Esordii con una battuta di spirito, poi venni al sodo: “Non so
cosa v’è preso, però dateci un taglio”.
Mi rivolsi uno a uno a tutti gli elettrodomestici, per addomesticarli.
Fui molto eloquente. Alla fine, provai un gran sollievo.
Due sere dopo, sto lì a guardare la televisione, quand’ecco che il
televisore si mette a saltellare su e giù. Mi alzo in piedi e… io parlo
sempre prima di colpire… e gli dico: “Credevo di essermi spiegato bene.
Qual è il problema?”.
Il televisore seguitava a saltellare. Allora lo colpii, di gusto. Lo
picchiai di santa ragione. Gli divelsi l’antenna. Mi sentii molto virile.
Di lì a un paio di giorni, vado dal dentista, nel centro di New York.
Anche lì c’è uno di questi ascensori parlanti che mi fa: “Gentilmente,
dica a che piano deve andare”. E io: “Al sedicesimo”. Le porte si chiudono
e l’ascensore parte. A un certo punto mi fa: “E’ lei quello che ha
picchiato un televisore?”.
Mi sentii proprio un fesso, capirete. L’ascensore mi fece andare su e
giù. Poi mi riportò giù di furia e mi scaricò nel seminterrato, gridandomi
dietro improperi antisemiti.
Ma non è finita li. Quello stesso giorno, telefono ai miei. Mio padre
era stato licenziato dalla ditta per cui lavorava da ben dodici anni. Lo
avevano sostituito con un apparecchio che faceva tutto quello che faceva
lui – solo che lo sapeva fare molto meglio. E non basta ancora. La cosa
più deprimente è che mia madre era corsa subito a comprare quell’aggeggio.

IL GIOVANE BRAIAN

Come sia successo nessuno lo sa e probabilmente non lo saprà mai. Fatto sta che adesso Lui c’era. Cioè più precisamente adesso Lui “era”. Anche sull’adesso ci sarebbe da ridire perché un’adesso implica un “prima” ma in questa storia non c’è un prima ma inizia da quando c’è Lui che per convenzione chiameremo Braian.

Braian era appena arrivato e come chiunque, la prima cosa che fa è di guardasi intorno, ma era un problema, mancava l’intorno e mancava il guardarsi. Braian cominciava “oggi” e tutta l’energia che aveva come tutti i ragazzi, non potendola  scaricare cosa fa? Dà sfogo alla fantasia e si inventa un gioco. Intanto per giocare bisogna vedere e poi che ci sia qualcosa da vedere e allora come tutti i giovani inventa. E inventa delle palline di tutte le dimensioni, da quelle minuscole come un granello di polvere a quelle mostruosamente gigantesche, e le lancia da tutte le parti. Adesso queste si stanno allargando, sempre più velocemente, disperdendosi. Braian preso dal gioco capisce che per divertirsi deve vedere cosa sta succedendo  e allora inventa di infiammare una gran quantità di queste palline che ben presto brillano come tanti puntini luminosi e cambiano dimensione. Adesso si vedono girandole, ammassi, strisce, è un vero spettacolo. Ormai Braian è tutto preso e ammira ciò che ha creato ma nel frattempo Lui è cresciuto e come tutti gli adolescenti si stanca presto, e anche se è bello guardare palline e girandole, non sa con chi giocare, allora se non ha compagni di giochi se li inventa e infondo la cosa diventa ancora più divertente perché in questo modo i compagni li crea proprio come piace a Lui.

Prende una pallina a caso e inventa un gioco nuovo.

Intanto per giocare bisogna essere almeno in due, poi ci vuole un posto adatto a giocare e allora nella pallina ci infila l’aria, poi l’acqua, poi ci mette le piante. Adesso ha ripreso interesse, guarda compiaciuto questa cosa che invece di bruna ha dei bei colori, azzurro, verde e dei begli sbuffi rossi sparsi qua e là, insomma un paradiso. Brian guarda compiaciuto ma si accorge che manca di azione e movimento, si, ci sono gli sbuffi di fuoco, la terra ogni tanto si scrolla, le piante crescono poi seccano e muoiono e altre ricrescono ma tutto finisce lì. Se vuole giocare deve aggiungere ancora qualcosa che non resti bloccato dove si trova ma potrà, insomma muoversi. Pensa e ripensa alla terra, l’acqua, il cielo e si inventa ali per volare, gambe per camminare e pinne per nuotare, le attacca a nuovi esseri che sono come le piante ma di una sostanza più molle e elastica e si accorge che la cosa non funziona. Non volano non camminano e non nuotano e se provano a muoversi fanno solo movimenti scomposti. Capisce subito che ci vuole qualcosa in più di quello che hanno le piante e infila un centro che coordini tutto e che faccia lavorare pinne gambe e ali. Adesso ne crea in gran quantità ma non va ancora bene, camminano, volano, nuotano ma muoiono quasi subito. Bisogna che durino di più, che ci sia il ricambio perché il gioco non finisca subito. E’ la parte più noiosa ma necessaria, duplica tutti quanti ma in modo leggermente differente, ognuno attratto solo dal suo doppio e cedendo un minimo del suo potere fa in modo che unendosi possano creare altri esseri in modo che il gioco continui. E’ tutto ciò molto bello da vedere.

Si ma il gioco non entusiasma, come tutti gli adolescenti ha bisogno di emozioni forti, sente delle strane pulsioni che non riesce a spigarsi. Ha bisogno di giocatori che siano più reattivi per rendere il gioco coinvolgente. Adesso non si sa bene cosa abbia combinato, si dice abbia preso della creta, impastando e copiando le creature già presenti formasse un essere dotato di due gambe, due braccia poi sopra ci avesse piazzato una specie di palla con tutte le apparecchiature per i movimenti, i sensi, ben cinque per rendere più competitivo tutto il sistema, poi un’apparato  per nutrirsi, infine con un soffio……. puff.  Adesso non c’erano  più solo piante e animali che al gioco partecipavano poco o niente. Braian guardava ma  se  uno se ne sta li  stravaccato su un letto di foglie da dove si alzava ogni tanto per mangiarsi una mela dall’albero lì vicino la cosa alla  fine andava a noia. Bisognava muovere il gioco aggiungendo un’altro giocatore da mettere in competizione col primo e anche su questo fatto si sa poco. Pare che gli dette una botta in testa poi mentre era svenuto asportò una costola, non si sa se la destra o la sinistra e con questa costruì un’ altro essere simile ma completamente diverso che chiameremo donna. Adesso c’erano due giocatori nuovi e il gioco vero poteva cominciare. Questi due in fondo gli assomigliavano ma erano decisamente stupidi. Giravano, si grattavano, avendo tutto quello di cui avevano bisogno passavano il tempo senza fare niente. Bisognava aggiungere delle difficoltà per rendere movimentato il gioco che infondo aveva inventato Lui così chiamò i giocatori e con un pizzico di cattiveria disse loro che quei bei frutti poi chiamati mele di quell’albero vicino al loro giaciglio non dovevano assolutamente essere mangiati e aggiunse perfidamente perchè erano i pomi della conoscenza e chi li mangia diventava intelligente. Figurarsi la donna, li aveva sempre davanti agli occhi, non ne poteva più dalla voglia di assaggiarne uno ma non si fidava a prendere l’iniziativa. C’era quell’altro che poteva andare a coglierne uno al suo posto, Il tizio che chiameremo Adamo e che ci cascò come una pera (frutto simile alla mela ma meno pericoloso) e Braian prima si sorprese di tanta audacia poi come tutti i ragazzini si arrabbiò di brutto. Aveva inventato Lui il gioco, aveva fissato una sola regola e quei due pirla l’avevano subito infranta. Adesso il gioco sarebbe diventato molto più tosto.

 

Dopo una epica straccionata (se se parla ancora ora) con una cattiveria inaudita li caccio via. Alla donna disse che avrebbe partorito con dolore senza spiegare cosa fosse ne partorito, ne dolore e all’uomo che se voleva mangiare e sopravvivere doveva procurarsi il cibo lavorando, senza aggiungere le tasse che lo avranno ossessionato per tutta la vita. Da lì in avanti la storia è nota, e il gioco continuato sempre con più giocatori. Le regole le faceva sempre Braian e si mise pure a giocare. Scelse una squadra e cominciò il torneo, Lui e la sua squadra contro il resto del mondo. Per renderlo interessante si inventò un sacco di difficoltà e per par condicio anche alla squadra a cui partecipava, pioggia di fuoco, pestilenze, carestie poi per aggiungere un po di splatter, omicidi, suicidi e allargandosi ulteriormente guerre di tutti i generi. La sua squadra un po si arrabbiò fino a chiedergli da che parte stava ma senza risultato. Ancora adesso lo chiamano sperando che si faccia vivo e spieghi almeno le regole del gioco ma inutilmente. Come per tutti i ragazzi un bel gioco dura poco, chissà dove si sarà cacciato e che gioco starà giocando adesso.

CONFIDENZE

dal web : Fotografia di Augusto Montaruli

– E dimmi , dimmi a sesso come sei messo?

– Beh, ormai sono autosufficiente.

– Ma dai, e tua moglie come l’ ha presa?

– Beh, tu la conosci… su ogni cosa vuole mettere bocca………

I calzini di Schrödinger

Sicuramente è più famoso il gatto chiuso nella scatola quantistica ma altri oggetti si comportano come quella povera bestiola, o ameno analogo evento si verifica in camera mia quasi ogni mattina. Il fenomeno descritto con parola incomprensibile “entanglement” consiste nella peculiarità dello stato quantico di ogni costituente il sistema che dipende istantaneamente dallo stato degli altri costituenti. Tale legame, implicito nella funzione d’onda del sistema, si mantiene anche quando le particelle sono a distanze molto grandi. Ed ecco alla mattina mi alzo, i vestiti dalla sera prima poggiati su una sedia , ma i calzini? Spariti! Iniziano le ricerche sotto il letto, dentro i pantaloni, alla fine ecco che ne spunta uno. L’altro a questo punto dovrebbe essere nei paraggi. Sbagliato! Il secondo calzino è sparito, entrato in un’altra dimensione e non c’è verso di trovarlo. A questo punto resta da fare una cosa sola: si infila il primo calzino poi con aria indifferente si da un’occhiata in giro. Il calzino scomparso, tutto preso dallo stato quantico in qualunque posto si trovi deve legarsi al calzino indossato ed eccolo apparire magicamente dove prima non c’era assolutamente nulla. Ed ecco spiegato l’ “entanglement” .

Isolabona, la cubaita: dai saraceni ai giorni nostri, la storia di un dolce che piace da secoli

Da Riviera 24,it

cubaita

Un dolce all’apparenza semplice, gustoso e fragrante, in grado di assicurare la giusta energia per affrontare l’inverno . Da Riviera24.it

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Isolabona. Nocciole, miele e cialde di ostia: sono questi gli ingredienti cardine delle cubaite, il dolce tipico delle feste natalizie che, anche quest’anno, potrà essere gustato nella tre giorni dedicata alla manifestazione “Antichi Mestieri”, che avrà luogo il 24 e il 26 dicembre e il prossimo 7 gennaio.
Un dolce all’apparenza semplice, gustoso e fragrante, in grado di assicurare la giusta energia per affrontare il rigore dell’inverno.

lmeno una volta nella vita, tutti i liguri di ponente lo hanno assaggiato. Ma siamo sicuri di conoscerne la storia? L’ingegner Luciano Gabrielli ha scritto uno studio approfondito sulla materia, ricostruendo la storia dietro alla tradizione.

I luoghi di produzione“La versione più nota e caratteristica di questo dolce è quella di Isolabona che è conosciuta come cubàita, nome peraltro utilizzato anche a Ventimiglia dove però attualmente questo dolce è praticamente scomparso”, ha scritto Gabrielli, “A Pigna, Castelvittorio e Triora, dove è presente in versioni molto simili, se non identiche, sono invece in uso nomi diversi: ubrìn viene utilizzato a Pigna, marzàpai a Castelvittorio mentre a Triora si usa il nome turùn”.
Pur essendo così ben radicato nel ponente ligure, questo dolce non è certamente autoctono: prova ne è la diffusione in diverse regioni italiane, quali Sicilia, Calabria, Toscana, Piemonte e Lombardia.

La composizione“La prima caratteristica di questo prodotto è la sua composizione che è fondamentalmente costituita da due componenti base: il miele e la frutta secca “a guscio”. Il miele, che era il dolcificante naturale più usato nell’area del Mediterraneo fin dall’antichità, svolge in questo caso, oltre alla tipica funzione di dolcificante, anche quella di legante per la seconda componente del prodotto, la frutta secca, che è invece pre sente in modo diversificato potendo essere costituita da mandorle, nocciole, noci e sesamo utilizzati in numero e proporzioni assai variabili. Gli ingredienti secchi possono differire da luogo a luogo dando origine a varianti del prodotto che trovano la loro ragione di essere nella convenienza di utilizzare le coltivazioni locali tipiche di questo o quel frutto secco il cui uso è compatibile con la ricetta. Oltre che nella composizione si riscontrano anche differenze nella forma, nell’aspetto del prodotto finito, nelle modalità di preparazione e nell’uso di differenti attrezzi tipici impiegati per la sua realizzazione”.

Il nome. Tra le caratteristiche di questo dolce, vi è anche il nome, “non tanto perché si usi lo stesso nome nelle diverse zone in cui è presente, ma perché nella quasi totalità dei casi i nomi utilizzati possono essere ricondotti ad una origine comune. I nomi in uso nelle diverse altre parti d’Italia sono: in Sicilia cubbàita, cubàita, kubbàita, cobàita, cubàsta, cubbèda, in Calabria cupèta, in Toscana coppàte e copàta, in Piemonte copèta e coppètte (di Sant’Antonio) in Lombardia cupèta, coppètta, cupètt, ma per essere esaustivi l’elenco dovrebbe essere molto più lungo. Nessuno ormai mette più in dubbio che l’origine dei nomi con cui questi dolci sono quasi ovunque identificati sia riconducibile alla parola araba qubbaita. In arabo qubbaita significa “dolce” e viene talvolta usato con il significato specifico di “mandorlato” ovvero di dolce a base di mandorle. Le mandorle infatti, assieme all’uva sultanina, i datteri i fichi secchi, i pistacchi e l’acqua di fiori d’arancio, ricorrono sovente nella preparazione dei dolci arabi che utilizzano anche il miele come dolcificante. Secondo un’altra ipotesi l’origine di questo dolce sarebbe più antica. Essa infatti fa risalire la genesi del nome cubaita, al latino cuppedium, cuppedia che significa ghiottoneria. È d’altra parte noto che sulle tavole dei romani dopo il III secolo a.C. il miele e la frutta secca erano alla base della preparazione dei cibi della cosiddetta secundae mensae, che era equivalente al nostro dessert. A sostegno di questai potesi c’è anche un riferimento fatto da Marco Terenzio Varrone che citava il gustoso cuppedo”.

La diffusione nel ponente ligure“A cavallo tra il IX e X secolo i Saraceni penetrarono in queste valli provenendo dal vicino insediamento di Frassineto presso l’attuale La Garde-Freinet, 22 km. a nord-ovest dell’odierna Saint Tropez, da dove diedero origine a pesanti scorrerie sia in Provenza che in Liguria, nell’area pedemontana, saccheggiando anche zone molto lontane e costituendo numerosi presidi locali, ma non ci furono solo scorrerie. Durante la permanenza araba nell’insediamento di Frassineto ci furono anche numerosi casi di “collaborazione” tra questi ed i prìncipi cristiani che si avvalsero dell’aiuto delle milizie saracene negli scontri con i propri avversari. Inoltre a Frassineto accorsero anche molti banditi delle terre vicine che si mescolarono con la popolazione araba e non è da escludersi infine che un certo numero di Saraceni si sia mescolato con la popolazione locale entrando a far parte stabilmente delle comunità con cui vennero in contatto. In sostanza le relazioni tra gli arabi dell’insediamento di Frassineto e le popolazioni vicine non si limitarono solo agli episodi predatori ma furono ben più profonde e quindi certamente molteplici furono le occasioni di travaso culturale tra il mondo arabo e quello locale. L’introduzione della cubaita in questa zona, potrebbe quindi essere avvenuta in questo contesto”.

“Per chi non avesse ancora assaggiato la nostra cubaita”, dice l’assessore di Isolabona nonché presidente dell’associazione “Antichi Mestieri” Lorenzo Cortelli“Quale occasione migliore che l’evento di questi giorni in cui il sapore del dolce della nostra tradizione si unirà a quello di un passato vibrante di suoni, profumi e colori”.

R24 News 24

Riviera24

HELLEN

Mi piaceva la pubblicità dello shampoo di Federica Pellegrini. Un giorno me lo sono trovato in bagno e mi è sembrato meraviglioso. Dopo due volte mi è caduto l’occhio sull’etichetta: Head & shoulders che tradotto significa testa e spalle. Adesso mi sembra uguale a tutti quelli che uso da sempre, io avevo capito Hellen Sholder

L’articiocu

SOGNI

Il mio sogno è di andare a vivere in un’isola a contatto della natura dove mi procuro il cibo andando a pescare e raccogliendo frutta dagli alberi passando poi il resto del tempo a prendere il sole nudo sulla spiaggia o a fare il bagno.

Cercherei una bella baietta con sabbia finissima , mare cristallino e caldo dove costruirei la mia capanna a non più di cento metri da un’ospedale con sala operatoria e centro di rianimazione.

IL PARADISO PUO’ ATTENDERE

induisti

Evidentemente le religioni solo le migliori agenzie di viaggi, tutto quello che promettono viene manenuto, infatti nessuno è mai tornato a lamentasi.

TORTA DI VERDURA ALLA SANREMASCA

PASTA:

455 g farina

70 ml olio extravergine di oliva

200-220 g acqua fredda, (circa)

sale

RIPIENO:

750 g zucchine, trombette

75 g riso, originario

75 g Parmigiano grattugiato

3 uova

1 piccola cipolla

60 g olio oliva extra vergine

sale

Versare la farina, aggiungere l’acqua, l’olio, sale e impastare. Mettere l’impasto in una ciotola di ceramica, coprirlo con della pellicola trasparente e farla riposare un’ora circa. Nel frattempo, tritare il formaggio e metterlo da parte. Tagliare le zucchine a fettine e metterle in una ciotola capiente , aggiungere la cipolla tritata, aggiungere le uova, l’olio, il sale, il parmigiano tenuto da parte. Aggiungere il riso crudo Versare il composto nella ciotola delle zucchine e mescolare bene. Accendere il forno a 180°,ungere una teglia , stendere 3/4 della pasta e foderare la teglia facendolo uscire dai bordi abbondantemente, versare il ripieno. Stendere la pasta restante formando un cerchio grande quanto la teglia e coprire il ripieno, ripiegare sopra la pasta eccedente, spennellare d’ olio fare qualche apertura pizzicando la pasta con le forbici e mettere in forno per 50 min. Lasciare intiepidire e mangiate con un bicchiere di vermentino. Se poi siete a Sanremo, inutile fare tanta fatica, basta andare alla Tavernetta in Via Palazzo e mangerete una torta di verdura come non avrete mai mangiato. Provare per credere!

https://wp.me/p27ck8-1JuQe

FESTIVAL DI SANREMO

IL FESTIVAL DI SANREMO E’ MORTO 30 ANNI FA’
LO HANNO IMBALSAMATO ED ORA
E’ DIVENTATO UNA DIVINITA’
DA FESTEGGIARE UNA VOLTA ALL’ANNO.

FUMO

FUMO

Scusi ha da accendere?
No mi dispiace, ho perso il vizio del fumo
– E gli altri vizi?
– Non ho mai avuto altri vizi.

INDES

Lo comprò mia nonna nel ’91
a me il compito di sbrinarlo ogni 10 -15 giorni.
E’ in cucina, la maniglia dello sportello
ogni tanto si incastra
alcuni cassetti sono rotti
una manutenzione maldestra ha fuso il timer e
ora ne ha uno esterno.
La mattina lo apro, prendo il latte, FUNZIONA!
Ormai è diventata una gara.

 

 

Merry Christmas da SANREMO

Carpophilus lugubris

Aiuto! Qualcuno conosce questa bestia? E’ lunga 2 millimetri e da qualche anno mi fa marcire i fichi penetrandovi dentro e adesso succede anche con mandarini e aranci, arriva dall’ America, come per il punteruolo rosso pare che non ci siano difese.